Le favole dell’inconscio

Le favole dell’inconscio

In quasi vent’anni di professione, di colloqui e di terapie, parole ne ho sentite e dette tante.
Molti di questi suoni spesso si sono persi all’interno di quei percorsi terapeutici alla ricerca di se stessi. Al contrario le immagini e le metafore hanno sempre “dato una svolta” al percorso, si sono imposte con un “peso“ diverso, unico ed individuale all’interno di quelle relazioni.
Quella” voce dall’inconscio” che l’immagine simboleggia, ha spesso, come in una sorta di magia, fatto da ponte tra un corpo malato ed una mente che, per quanto si sforzasse sul piano razionale, non riusciva a trovare risposte adeguate a tale sofferenza.
E’ stata portatrice di senso e di significato.
Capire e sapere, se privi di una ”comprensione”, di un legame con un ”sentire emozionale”, di un’esperienza affettiva rivissuta nello spazio tranferale, lasciano comunque il paziente incapace di far fronte alla confusa molteplicità di richieste contraddittorie provenienti dal suo mondo interno.
Il ponte, l’anello di congiunzione tra due mondi in apparenza così distanti ci viene offerto proprio dal mondo immaginario, da quella molteplicità di simboli che, spinti da un’emozione inconscia, parla attraverso metafore e sogni.
Ponte che unisce e che dà senso, grazie al quale il paziente si ricrea in una nuova modalità di essere e sentire.
Un’immagine o una metafora, insieme ai sogni, (spesso assenti soprattutto in quei pazienti che presentano un blocco nell’affettività), dicono qualcosa in più e di più profondo rispetto alle parole: ci mostrano una parte rimossa, un elemento in qualità di simbolo che chiede di essere disvelato, un ponte tra il la mente e il corpo, tra il sapere e il sentire.
L’immagine è una voce che dall’inconscio ci parla dell’inconscio stesso e dei suoi meccanismi difensivi.
Il nostro mondo interno, le nostre pulsioni primarie, le nostre paure, le nostre ambivalenze prendono vita dentro di noi e, come una sorta di personaggi e di “voci” interiori in lotta tra loro, possono condizionare se non addirittura inibire le nostre relazioni con il mondo esterno.
Questo lavoro nasce da qui: dall’inconscio e dalle sue immagini, o meglio da come le favole dell’inconscio ovvero la storia e il personaggio che l’inconscio ci ha fatto credere di essere, possano aver “convinto” l’lo a seguire un copione già scritto, a rinunciare alla propria creatività, a ritrovarsi nel tempo a lottare contro “mostri” sempre uguali a se stessi.
In ciascuno di noi esiste una favola e come in una favola, ciascuno di noi vive la propria vita condizionato da un magico mondo interiore dove realtà e fantasia si fondono, dove parti di sé alleate ed ostili si sfidano e condizionano scelte ed emozioni a quel Protagonista che ci sentiamo di essere, con l’unico scopo di aiutarlo a raggiungere, nelle quotidiane avventure il tanto desiderato lieto fine.
Al contrario, proprio come in una favola, la nostra parte emozionale può subire una repentina metamorfosi, lasciandoci dispersi e disorientati, come in un bosco sconosciuto, in balia delle nostre angosce e della nostra disperazione.
Perdersi per ritrovarsi, nelle fiabe come nel percorso terapeutico, sembra essere un passaggio obbligato per ridare senso al nostro cammino: la lotta, nella vita come nelle fiabe è inevitabile, ma chi non si ritrae, chi avrà la forza di “scontrarsi” o confrontarsi con gli ostacoli che le difese (dell’Io o dei Sé) gli hanno girato contro affinché resista nel tempo quella scissione interna che non permette l’evoluzione e la crescita, passerà dal ruolo di protagonista a quello di Autore di quella favola che ancora deve essere scritta e che è la vita in divenire.

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